IL MONDO COME UNIVERSO DI SEGNI; IL MONDO TRA ESSERE E NULLA; IL MONDO COME SFONDO OPERATIVO

La domesticità, l'ovvio, è la base per le nostre scelte. Non siamo mai soli perché‚ le nostre scelte avvengono in un quadro di memorie culturali operative precedenti che riversiamo nella nostra azione. Non si parte mai da zero. (528:) "Il mondo è, innanzitutto, l'orizzonte dei segni del lavoro umano, di decisioni altrui assunte e riconosciute: esso è familiare perché‚ la famiglia culturale umana vi ha lasciato traccia di sè, vi documenta la sua storia. Il mondo è la storia vivente degli altri in noi e non importa se questa vita si muove ora in noi come abitudine, come continua evocazione di gesti tecnici meccanicamente compiuti, come un ovvio adoperare e utilizzare questo o quello, come un anonimo "si fa così" operante ai margini della consapevolezza: in questo sistema di opache fedeltà ha pur sempre luogo una appropriazione dell'umano, una sua messa in causa, sia pure nella forma del riadattamento alla situazione del singolo, che certamente è sempre nuova, e in qualche misura senza modello". (529:) "Quando l'uomo esperisce davvero il limite del suo mondo e si affaccia sul nulla perché‚ non sa più trascenderlo (il campanile di Marcellinara), quando l'ordine delle sue memorie culturali dilegua, è il mondo che sprofonda: tanto poco questo esperire può venir celebrato come libertà, che si tratta di una estrema servitù, di una catastrofe dell'esistenza e dell'esistente: la nuda esistenza, nuda cioè di storia umana, è assenza totale, annientamento di sè e del mondo, infedeltà radicale alla vera condizione umana".

531 Il mondo degli oggetti materiali, della loro utilizzabilità, strumentalità ed operabilità, è il risultato di una materializzazione che è il primo passo della presentificazione del distacco e trascendimento. Per esserci occorre circoscrivere la presenza rispetto a: 1) un mondo resistente, inerte, di corpi-strumento a cominciare dal nostro corpo; 2) un ordine di collaborazioni sociali che condizionano l'utilizzo e l'oggetto dell'utilizzo.

532-3 Se gli oggetti si muovono, sono vivi nella loro alterità ed estraneità al corpo, "commuovono", siamo al nulla. A quel nulla che non è stimolo per il valore ma perdita del valore, cieco stimolo che colpisce il mondo (culturalmente determinato e determinabile) dell'utilizzabile e che, al limite, cancella la possibilità stessa dell'utilizzazione. Se gli oggetti si aprono al nulla cessano di essere progettabili e si cancellano le operazioni progettanti della presenza.

559 Fondo a disposizione: "Il mondo come sfondo familiare, domestico normale del nostro emergere valorizzante à l'indice nascosto e tuttavia sempre disponibile di possibili percorsi operativi che custodiscono l'umano appaesamento consumatosi nei millenni della storia umana, e che attraverso la nostra biografia giunge sino al qui all'ora della nostra emergenza, del nostro 'oltre' che li oltrepassa tutti di colpo per raccogliersi nel trascendimento valorizzatore del momento, nella presentificazione storica che fonda la libertà dell'emergenza attuale. Questo 'oltrepassare di colpo' per raccogliersi nella presentificazione fonda la relativa sicurezza del mondo, il suo poter essere vissuto come 'sfondo' e 'sostegno' della nostra iniziativa, come patria accogliente dell'esserci. 'Oltrepassare di colpo' significa 'rimettersi agli altri che oltrepassarono', accogliere la multanime e corale risonanza del lavoro umano di appaesamento, affidarsi in un atto di immensa e devota umiltà a questa laboriosità appaesatrice consumatasi nei millenni, nelle generazioni, nelle società in cui siamo nati e cresciuti, nella educazione familiare che abbiamo ricevuto. (...) La normalità del mondo possiede una sua calda affettività che si confonde con lo stesso ovvio sentirsi corpo vivente: quel corpo che custodisce memorie cosmiche di comportamenti e di rapporti, e che per tale custodia è ovviamente nostro nella sua adoperante attività".

561-5 Commentando Proust. La ricerca del tempo perduto esprime il problematizzarsi della primordiale potenza che alla base dell'esserci nel mondo secondo valori intersoggettivi: la potenza di richiamare di nuovo il passato a vari livelli di impegno e consapevolezza, di riprendere sempre di nuovo questo passato in nuovi orizzonti operativi valorizzanti. Egli esprime la crisi del rapporto io-mondo e ridiscende al livello in cui le cose, le persone, il proprio corpo, perdono senso e diventano tombe mute, anonime, fosse comuni del passato. In questa ricerca per sorprende per l'emergere del primordiale rammemorare che dona senso al mondo e assicura l'inaugurale libertà di uno sfondo domestico comunitario dell'operare. Ecco la resurrezione di Combray, quando la prospettiva di un noioso e tetro pomeriggio in uno scuro pomeriggio di inverno e di un triste domani trova salvezza nel rammemorare una caldo mondo di affetti e ricordi grazie ad una tazza di the. Il mondo si scolora e sta per spezzarsi il legame con le cose e il passato, il tempo si rattrappisce ed ecco che la tazza di the consente l'inversione di segno recuperando significato all'esistenza sulla base delle memorie e dei sentimenti fondati sul passato sentito come rinato e proprio. Nei "risvegli" con cui si apre l'opera, Proust esprime l'angoscia del risveglio improvviso quando si sorprende un mondo radicalmente estraneo e insignificante. L'esistere è ridotto alla elementare primordialità dell'animale; il disorientamento di chi è nudo in modo totale in un universo radicalmente estraneo. Questo radicale rischio del nulla ritrova un limite positivo attraverso una seri di immagini confuse, banali, ovvie, che costituiscono un primo ancoraggio di memorie culturali riorientatrici: la tessera di ingresso alla domesticità del mondo. Immagini di cose o percezioni di aspetti, movimenti, posizioni del proprio corpo: da entrambe, dalla memoria di sè, si illumina una segreta cosmogonia totale che ogni momento si compie in noi sia pure mascherata nella ovvietà e domesticità del nostro sfondo operativo.

566-69 Lettura di Bergson: la percezione come anticipazione virtuale di esperienze famigliari, passate, storiche. L'oggetto è la proiezione di nostre esigenze che definiscono provvisoriamente come assolute alcune unità. La materia è l'estensione che distingue gli oggetti: la distinzione dipende dalle esigenze di manipolazione: la contiguità dell'estensione materiale significa la possibilità infinita di azioni e manipolazioni in relazione ai nostri bisogni.

569-77 Lettura di Sartre. Gli oggetti sono definiti da nessi pratici di riferimento. Percezione significa organizzazione pratica (operata da una coscienza pratica e non contemplativa) degli esistenti nel mondo. Il mondo è lo spazio strumentale luogo degli utilizzabili. Atti da fare che rinviano ad altri atti da fare, l'infinito dei complessi utilizzabili. La differenza tra azione e percezione è che la prima è la seconda che si oltrepassa in progetti di azione. Percezione = possibilità di azione. Questi rinvii di utilizzazione trovano un centro nel corpo quale strumento-essere che, dato solo nell'insieme delle relazioni, orienta la catena di utilizzazione. Esso è condizione permanente di tutto ma inconoscibile in sè, bensì solo nell'utilizzo (anche se non appartiene al mondo degli oggetti). Lo sforzo per far essere un uomo in società (= cultura) include la resistenza degli oggetti. Questa diviene rischio ogni volta che una cosa si isola, perde relazioni con le altre, esce dalla storia. Il mondo è possibile come ordine dell'utilizzabile, entro cioè quella particolare valorizzazione intersoggettiva che è l'utilizzabile. L'apparente anteriorità-esteriorità degli oggetti è condizione proprio dell'atto di utilizzabilità, che significa questa esteriorità nell'atto lavorativo che incontra resistenza. (576-7:)"Il progetto comunitario dell'utilizzabile, generandosi e rigenerandosi sempre di nuovo, e componendosi in tradizione trasmissibile e ulteriormente incrementabile, costituisce 'il mondo' come orizzonte degli enti intramondani e lo stesso ordine degli enti intramondani come indici relazionati di utilizzazioni e resistenze, di 'itinera' operativi e di limiti di percorribilità di questi 'itinera'. Nel 'mondo' non si incontrano mai 'le cose in sé sottratte ad ogni domesticazione ed uscite per così dire dalle mani del creatore: che questo incontro abbia luogo appartiene alla coerenza intera del lavorare utilizzante, non alla prospettiva trascendentale che si riferisce allo stesso ethos del trascendimento della vita nel valore". (577:) "Senza dubbio 'il mondo' in quanto condizionato da un certo progetto comunitario dell'utilizzabile, presenta limiti di mondanizzazione e cosmicizzazione che sono propri di questo progetto culturalmente condizionato: e poiché‚ la valorizzazione comunitaria, come ogni altra valorizzazione intersoggettiva, non si esaurisce mai (se si esaurisse segnerebbe la morte dell'ethos del trascendimento), il mondo non è mai l'interamente utilizzabile, ma solo l'utilizzabile entro limiti storici di una certa progettazione: ciò significa che oltre tali limiti non stanno le cose in sè, o un altro mondo, ma il non-mondo, l'acosmico, il caos, il nulla. Appartiene dunque al 'mondo' la possibilità del suo 'finire', ed ogni 'mondo culturale' ne è travagliato nell'intimo, così come riposta interamente sull'ethos della valorizzazione e sullo slancio inaugurale della valorizzazione utilizzante". Il crollo può essere esemplificato dalla follia. Tramandandosi il progetto comunitario forma la tradizione culturale che a sua volta forma il mondo come orizzonte degli enti, Nel mondo non si incontrano mai le cose in sè. Ovviamente vi sono dei limiti (storici) dei progetti comunitari dell'utilizzabile. La valorizzazione comunitaria non si esaurisce mai e il mondo non è mai l'interamente utilizzabile ma solo l'utilizzabile entro limiti storici. Questi limiti non sono limiti delle cose in sè ma limiti storici. Oltre tali limiti non è l'essere in sè ma il caos, il nulla. La magia non è (Sartre) l'impossibilità di operare nel mondo tranne che sul piano dell'immaginario-emotivo, ma un modo per reintegrare la presenza, per operare.

578-92 Lettura di Merleaux-Ponty (Fenom. d. percez.).

578-9 Polemiche contro le sensazioni pure: l'evento elementare è già rivestito di senso e la percezione non è passiva. L'impressione fisiologica è sempre impegnata in una trama di relazioni: si esperisce in una costellazione di dati un senso immanente che è la condizione del richiamo alla memoria. La natura non è mai in sè, oggetto primo delle percezioni. Essa è posteriore all'esperienza degli oggetti culturali, o meglio, è uno di essi. La coscienza ha una storia che normalmente è irriflessa ma non per questo inesistente.

583 La realtà è, come vita della coscienza, un arco intenzionale che proietta intorno a noi il nostro passato, i nostri progetti e le attese per l'avvenire, la nostra cultura e l'ambiente umano, la nostra situazione fisica, ideologica, morale. Questo arco intenzionale ci fa essere situati in tutti questi rapporti e costruisce l'unità dei nostri sensi, dell'intelligenza, della motricità, del nostro io fisiologico. La coscienza costruisce gli oggetti come tracce dei propri atti: li proietta intorno a sè e vi si appoggia poi per passare ad altri atti di spontaneità. La malattia distrugge non le immagini ma la struttura che le collega. (583-4:) La coscienza si proietta nel mondo fisico e nel corpo come nel mondo culturale e negli abiti. Essa è coscienza solo disponendo significati dati nella storia culturale. Dotata di organi e strumenti la coscienza si getta nel mondo per trascenderlo: riapre il tempo a partire dalle implicazioni del presente: questa è la memoria. (587:) Le cose sono sempre umane, e non disumane, poiché‚ nella progettazione ci posiamo sulle cose quanto basta per ritrovarle familiari. (587:) Una percezione senza sfondo è inconcepibile: la percezione presuppone sempre un passato significativo per il soggetto che percepisce e implica sempre un atto di elaborazione. (589:) Percepire è impegnare in un solo colpo un avvenire di esperienze in un presente che non lo garantisce mai rigorosamente: è credere ad un mondo. (590:) Se i sensi comunicano tra loro e si aprono alla struttura delle cose è perchè ad essi è incorporato un ordine di trascendimenti utilizzanti umani. La rigidezza e fragilità del vetro non è solo tattile ma anche visiva e sonora. La forma di una piega (visiva) ci fa conoscere l'elasticità e secchezza del tessuto (tattile). Questo rinvio di una percezione all'altra è però possibile solo in una cultura che abbia lavorato questi materiali incorporando in essi esperienze e rendendole partecipi a tutti diffondendone i significati (sotto forma di proprietà e utilizzabilità) nella memoria implicita e latente di tutti. E' possibile parlare di comunicazione dei sensi e del loro aprirsi alla struttura delle cose solo grazie ad una simile storia culturale (metallurgia, tessitura ...). (592:) Il mondo sociale non è una somma di oggetti ma un campo permanente (una dimensione di esistenza) alla quale siamo attaccati e che ci portiamo dietro prima di ogni obiettivazione. La conoscenza obiettiva e scientifica del passato è possibile poiché‚ abbiamo con esso, tramite la nostra società, una comunicazione, poiché‚ il passato fa parte della nostra storia. Ogni passato sociale è installato nel mio presente: io trovo nella mia vita le strutture fondamentali della storia. La soggettività è la proiezione di una potenza infinita in un termine che le è presente e il tempo è la potenza di passare oltre. Il mondo è inseparabile dal soggetto, soggetto inteso come progetto del mondo. Reciprocamente il soggetto è inseparabile dal mondo, mondo che egli stesso progetta.

593 Plasticità culturale della psicologia. (594:) Le distinzioni degli oggetti e il loro costituirsi in unità... percettive è in rapporto con la distinzione di progetti operativi attuali e possibili. Es: unità del libro con la lettura; del calamaio con la scrittura: non li mescolo insieme poiché‚ indirizzo diversi progetti.

596 Le strutture percettive, e la totalità di queste strutture, sono storicamente condizionate. Questi schemi (corporeo, del mondo esterno, della stessa corporeità; i vari stadi dello sviluppo percettivo...) sono legati: al bisogno e allo sforzo per superare resistenze alla soddisfazione dei bisogni; alle resistenze e alle tecniche sviluppate per superarle; all'articolarsi progressivo del mondo in segnali di resistenze e in progetti di azioni; alle memorie di abilità e dei loro limiti; ad uno strutturato affidarsi all'abitudinario domestico e alle decisioni problematiche in limiti che di volta in volta vengono messi in causa nelle situazioni. Questo processo di addestramento è legato alla cultura, alla società e alle sue istituzioni; ai progetti comunitari e ai valori.

IL CORPO COME TRADIZIONE CULTURALE; LA COSTRUZIONE DELLO SCHEMA CORPOREO E DEGLI SCHEMI DI PERCEZIONE(CORPOREA, OGGETTUALE E DI RAPPORTO CON GLI ALTRI)

532 Nella crisi anche la strumentalità del proprio corpo diviene problema. Quel carattere strumentale, ci appropriamo continuamente di membra ed organi secondo una tradizione culturale mimico-operativa che viene ogni volta ridecisa di continuo senza mai però ripartire da zero, e sempre aggiungendo qualcosa di nuovo. Ogni decisione mimico-operativa ha qualche frangia di novità per abitudinaria che sia.

533 "I corpi sono ciò che se ne può fare secondo memorie operative culturali di volta in volta evocate, messe alla prova, riadattate e modificate secondo livelli di consapevolezza che vanno dalle buone abitudini quotidiane alle invenzioni tecniche geniali. Il crollo della presentificazione perde la storicità di queste memorie esperendo con ciò l'annientarsi dell'esserci-nel-mondo". Si avvicina l'esperienza zero: questo annientarsi non è zero in sè (non si tocca mai il nulla) ma lo si fa avanzare. Si configura in questo avanzare dello zero il sospetto, la mostruosità, l'orrido. Una estraneità distruttiva e dolorosa. Il perdersi.

578-9 Lettura di Merleaux-Ponty (Fenom. d. percez.).

580-1 (Corpo). Nella genesi del mondo oggettivo un momento decisivo è la costituzione del nostro corpo. Esso si presenta a me sotto un angolo costante, permane in modo diverso dagli oggetti del mondo e serve da fondo agli oggetti e alla loro percezione. Non è percepibile. Le parti del corpo si rapportano le une alle altre in uno schema corporeo in cui sono avviluppate. Uno schema che si sviluppo poco a poco e che è il riassunto dell'esperienza corporea. Lo schema è un prodotto culturale.

585 L'uso del corpo è trascendente rispetto ai bisogni puramente biologici: sentimenti e condotte sono inventati, come le parole, e sono tutte realtà istituzionali (prodotti della cultura). (588:) Il corpo avviluppa tutti gli oggetti in una presa unica producendo l'ordine del tempo e dello spazio. (591:)

L'anteriorità della struttura percettiva globale rispetto agli elementi indica il condizionamento storico-culturale (e storico-sociale) del percepire.

611-13 Valorizzazione di destra e sinistra. Tali valori cosmicizzanti si basano sulla distinzione delle mani. Nessuna giustificazione biologica, nessun motivo pratico a partire dalla coerenza interna dell'operabile, giustificano le distinzioni tra le funzioni delle mani e la preferenza data sul piano funzionale e simbolico alla destra. Anche ammessa una dissimmetria motrice dell'uomo l'esperienza tecnico operativa avrebbe potuto plasmare il dato fisiologico; e comunque nulla dimostra che il dato non risulti proprio da una scelta culturale. Per comprendere la preminenza dalla destra occorre partire dal lavoro manuale e dalle sue concrete esperienze nella sua emergenza originaria. Ogni progettazione comunitaria dell'utilizzabile possiede un limite, che si collega immediatamente all'uso delle mani: si è, in senso umano, nella misura in cui le mani lavorano, e il limite di queste è il limite dell'umano esserci. Sul lavoro manuale, sulla sua emergenza originaria, si basa tutto l'edificio della cultura. Per proteggere l'emergere limitato dell'operatività manuale si elaborò un simbolismo mitico-rituale: di fronte ai limiti dell'operatività manuale, di fronte al resto del non progettabile e non operabile in senso tecnico manuale, che rischiava di inghiottire l'emergere della progettabilità manuale, si ricorse ad un simbolismo in grado di rendere significativo il non operabile, proteggendo l'esserci dal non mondo che è oltre i limiti del lavoro. Ecco allora la distinzione tra mano felice, abile, creatrice di ordine, e quella inabile, infelice, caotica. Questa distinzione garantisce la prima mano e una serie di regole per orientare l'agire e passare dal caos (ciò che è al di là del limite del negativo) al cosmo (ideale prolungamento del potere lavorativo della mano "felice". Secondo de Martino la valorizzazione della destra potrebbe essere legata al simbolismo che valorizza la regolarità del corso del sole da sinistra a destra (?). Quest'ultima interpretazione appare però intrisa di ingenuo naturismo.

617-8 Non camminiamo mai soli: anche nel semplice camminare siamo sorretti dalla storia personale ed umana del saper camminare, dagli sforzi e dalle invenzioni che hanno portato al camminare. Naturalmente tutto ciò è normalmente implicito per noi ma non meno reale: se questa storia fosse nulla, dimenticata, dimenticheremmo anche il saper camminare. Quest'insieme di abilità operative che si esplicano inconsapevolmente (consentendo ad altre presentificazioni intenzionanti che richiedono la nostra attenzione attiva, il nostro esserci, la messa in causa valorizzante) fanno parte della rinnovante liberazione dalla datità che costituisce l'emergenza dell'esserci e il suo rinnovato margine di disponibilità per il valore. Questo possesso storico del camminare che ci risparmia dal doverlo ogni volta reinventare consente di indirizzare ad altre attività la nostra attenzione.

618-21 La nostra esperienza cosmogonica inizia con il calore materno che si delinea secondo il confine della pelle, la primissima patria dell'esserci, e mediante il quale comincia l'appaesamento al mondo. Sullo sfondo di quel calore le labbra che succhiano il latte concentrano l'esserci in un punto privilegiato del corpo trasformando l'ingordo piacere della nutrizione in una scoperta. Le carezze materne descrivono e precisano il nostro corpo e l'immagine del volto della madre ci consente di conquistare l'umanità del vedere, del riconoscere e del sorridere. Il primo spazio percorribile si rivela in quello che la madre offre e toglie cullandoci, unito alla conquista del tempo nel ritmo della ninna-nanna. Sicuro modello inaugurale di un divenire in economia nel quale gesti e suoni formano la patria e il ponte verso la conquista dell'indistinto e della quiete. In questo spazio conquistammo anche il sonno umano, così diverso dal sonno delle bestie. Anche il pianto e il dolore conquistammo in rapporto alla madre, per il suo seno desiderato, conteso, perduto, per la sua figura scomparsa e per la solitudine cosmica che questa scomparsa spalancava. Prima scuola di un distaccarsi che sarebbe divenuto la regola della vita.

623-27 discussione, tramite Lévi-Strauss, sul ruolo del tabù dell'incesto come piattaforma per le valorizzazioni culturali.

MONDO DATO, NATURA E UTILIZZAZIONE CULTURALE

636 La datità del mondo esiste nella misura in cui resa possibile dall'ethos del trasc. Metterla tra parentesi (Husserl) significa considerare naturalisticamente, come dato esistente sempre, ciò che è invece prodotto secondo valore. La natura in sé esiste solo in quanto riveste significato pratico ed entra in relazione con i bisogni e le attività umane.

637 Noi ci basiamo su un passato acquisito che continuamente rimettiamo in causa per oltrepassarlo cercando di disegnare intenzionalmente un avvenire. Se il passato ritorna senza poter essere superato abbiamo la crisi: la datità come assoluto condizionante, l'essere agiti. La datità è il limite di partenza per il dover essere valorizzate: è questo dover essere nel suo continuo autosuperamento che rende possibile il mobile esperire del limite della datità come un mondo (cose, altri, me stesso) imposto sul quale sono chiamato ad imporre un'azione valorizzante. Perdere il mondo è perdere la capacità di andare oltre e quindi non solo il mondo valorizzato, ma lo stesso essere in un mondo. Infatti il "trovarsi" nella vita è possibile solo per entro un "porsi" valorizzante. (Se non si è capaci di andare oltre le cose stesse, queste, come dati, perdono la loro oggettività. Se non si è capaci di donare sensi e significati nuovi, non si riesce più a riconoscere i vecchi e tutto diventa insignificante).

638 "L'essere, che è dover essere, nella catastrofe del dover essere, si inabissa nel nulla". La datità è possibile solo come residuo ineliminabile della valorizzazione, a partire da quella valorizzazione che la rende partecipe di un progetto comunitario. Le assolutizzazioni di una particolare valorizzazione la trasformano in feticcio (es: la natura dello scienziato; la società perfetta in politica; le legislazioni che pretendono di esaurire la giustizia; i moralisti che assolutizzano una particolare forma storica di consapevolezza dell'ethos del trascend. ...). (639:) Queste assolutizzazioni normalmente, quando teorizzate, vengono poi cancellate dalla vita pratica degli stessi teorizzatori. Tuttavia già manifestano una caduta dell'ethos del trasc. in un valore: se però si pretende di adeguare tutta la vita alle cattive teorizzazioni, allora anche il piano esistenziale è travolto dalla crisi (si cade nella mania). Nessuna opera (o realizzazione umana) secondo il valore esaurisce il valore di cui à opera: si trascende quell'opera in altre opere secondo lo stesso valore o in opere secondo altri valori.

640 La capacità di dare valori avviene nell'ovvietà di uno sfondo domestico, di una datità ovvia, non problematica grazie ai passati trascendimenti storici (personali e collettivi): qui ci si orienta secondo fini di volta in volta egemonici e che possiedono vari gradi di importanza e consapevolezza.

641-2 Per entrare nel circolo della vita dello spirito occorre partire dall'economia, come esplicazione inaugurale dell'ethos del trasc. (merito di Marx e Croce).

643 Il rischio dell'esserci è tanto maggiore quanto minori sono gli strumenti tecnici materiali e mentali di utilizzazione. La ristrettezza tecnica comporta un elevato numero, e una grande radicalità, delle situazioni limite. Di qui il rilievo del simbolismo mitico-rituale che ridischiude le capacità operative (questo rapporto proporzionale tra rischio, tecnica e simbolismo destorificato andrebbe accertato). Il pericolo della civiltà occidentale è opposto: l'assolutizzazione della tecnica e dell'economia. Dunque non il limite dell'orizzonte tecnico e dei progetti comunitari dell'utilizzabile ma il limite della stessa tecnica elevato a valore. Non si oltrepassa la valorizzazione tecnica del mondo dimenticando che tecnica, economia e scienza racchiudono un telos comunitario (e non solo di gruppi minoritari e sfruttatori) dell'utilizzabile. L'ampiezza del saper e dell'operare tecnico rendono inautentico il ricorso alla protezione mitico rituale: i tentativi di rifugiarsi nel "sacro" si sbilanciano verso la disperazione e non ritengono il carattere culturalmente produttivo dei valori (ad es.) cristiani.

644 L'oblio del mondo equivale alla sua domesticità di fatti disindividualizzati al punto da diventare dati non problematici su cui poter fare disinvolto affidamento in modo da disporre della coscienza, a vari livelli di attenzione, per varie intenzioni, senza bisogno di ricominciare sempre da capo. Se tutto fosse problema sempre nuovo perderei me stesso.

645 "Come si delimita l'orizzonte del 'mondo'? Come una immensa possibilità da cui viene emergendo, nella continuità di un concreto esserci, una graduale limitata attualità culminante nella presentificazione dominante quel momento". Il mondo, inteso come cosmo, oggetti, natura, uomini, corpo, e tutto questo nel tempo, che abbraccia la storia dell'essere mio e degli altri uomini, che retrocede in un infinito passato aprendosi ad un infinito futuro.

CONTRO LA NATURA "IN SE'"

645-6 Considerare la natura come una realtà data, in sé, precedente e fuori dalle azioni umane, è un principio pratico, una regola metodologica necessaria al fine di poterla conoscere e dominare. Tuttavia considerare operativamente la natura "come se" fosse "in sé", questo postulato di una indipendenza della natura (sembra una sorta di giudizio regolativo), è una astrazione che avviene "dentro" la storia culturale dell'uomo e che è condizionata da questa stessa storia. E' sempre inclusa in una pratica di distacco dalla immediatezza del vivere realizzata dentro una società. L'uomo continuamente si distacca, in questo senso, dalla natura e mai può raggiungerla nel suo "in sé".

(646:) "E il distaccarsi storico-culturale dalla natura, e l'esser sempre dentro questo movimento di distacco, fonda le "cose" naturali, cioè un certo sfondo di utilizzazioni possibili nel quale si staglia di volta in volta la utilizzazione attuale: uno sfondo "domestico", un "mondo" che è domestico e che è mondo nella misura in cui racchiude progetti umani che furono eseguiti una volta e diventarono perciò progettabili o atti a diventare stimolo e appoggio per nuove utilizzazioni e progettazioni".

646 La natura è insieme il limite della valorizzazione come resistenza ed esteriorità (e in questo senso è sempre "al di là), e l'orizzonte delle utilizzazioni possibili accumulatesi nella storia (e in questo senso è sempre "al di qua") come memoria implicita ma esplicitabile di un certo ordine di abilità e tecniche a disposizione. Di questa memoria posso avvalermi nel comportamento ovvio, nella routine, nelle innovazioni. Questo "al di là" e questo "al di qua" sono correlati: la progettabilità configura un "al di là" di cui disporre, la sfera circoscritta di operazioni possibili, i limiti e le resistenze che si oppongono al progetto come un "in sé" che resiste; l'illimitata serie di nuovi sforzi per domarlo.

647 "Non esistono prima le cose e poi la necessità di utilizzarle, ma già le cose sono possibili in quanto indicano ambiti di utilizzazione in un certo ordine dell'utilizzabile". Rientrano nella coerenza dell'utilizzazione le cose, l'esterno, ma anche il corpo e le sue tecniche. La distinzione tra cose naturali e tecniche di utilizzo e trasformazione della natura è relativa. Il sole, come ogni strumento, è un utilizzabile. Gli enti si dispongono in una gamma di maggiore o minore utilizzabilità e resistenza all'utilizzazione; secondo limiti di operabilità. La prevalenza della resistenza richiama la materialità ed esteriorità della natura: la prevalenza della plasmazione strumentale richiama quella natura prossima che viene fabbricata.

649-51 Gli oggetti formano resistenze all'utilizzabilità infinita. Essi configurano però anche l'orizzonte del nuovo valorizzabile. Per la inscindibile relazione con le possibili utilizzazioni ogni oggetto culturalmente condizionato. Ogni civiltà costruisce diversamente l'estensione e la qualità dell'operabile e quindi la "realtà" degli oggetti.

IL SINGOLO E LA COMUNITA'

601 "Io non debbo mai esser solo": è l'imperativo etico che fonda la persona e l'intersoggettività delle varie, particolari valorizzazioni della vita, del continuo trascendimento delle situazioni nel valore. Non sono solo e non lo posso essere soprattutto nell'utilizzazione delle cose, la quale traduce soltanto la mia incessante partecipazione ad un progetto comunitario dell'utilizzabile. Naturalmente non è il problema di essere insieme fisicamente (si può essere soli nella folla e comunicare nell'isolamento di una prigione o di un convento): l'esser con gli altri ci accompagna in tutta la nostra esistenza, in ogni nostro esserci, anche se non ne abbiamo coscienza e quando formuliamo teorie individualistiche e solipsistiche.

(602:) Gli altri vivono nelle nostre abitudini, nelle tecniche del nostro corpo, nel mondo come orizzonte di utilizzabili, spazio i cui percorsi portano il segno della domesticazione collettiva e che richiamano alla società e alla sua storia.

603-4 L'ethos che spinge al trascendimento della vita nel valore, il suo dover essere, non può che attuarsi nella vita del singolo. La finitezza di questa vita è la condizione per il compito inesauribile di valorizzazione. "Se il principio fosse l'essere - e non il dover essere - la finitezza del singolo sarebbe un mistero". Se partiamo dall'essere chiuso, esaurito in sé, che è già quello che deve essere, la domanda sul perché‚ di questa finitezza potrebbe avere solo risposte religiose. Il singolo non può mai esaurire il dover essere che lo fonda: se lo esaurisse non attingerebbe l'esse ma il nulla (inteso come incapacità di valorizzazione e vuoto di situazioni da valorizzare). Il singolo non può pertanto che essere finito, poiché‚ solo la finitezza assicura l'inesauribilità del principio; questa finitezza inesauribile, però, non può esaurirsi nel singolo o in una irrelata molteplicità di singoli. Si dispiega in comunità operanti e comunicanti con le loro opere e, al limite, come "ideale dell'umanità". Il dover essere non è compatibile né con un singolo che lo incarna in modo che tutto l'essere è realizzato né con un urto caotico di singoli: si pone necessariamente come società, progetto comunitario dell'utilizzabile. Il pericolo è che la società si chiuda e, in questa mancanza di relazionalità con le altre società e con se stessa finisca per soffocare i singoli. Non la società come tale è il pericolo, ma il gruppo dei singoli che detengono il potere.

614 "Chi, ripiegandosi su se stesso, scopre la propria solipsistica solitudine, scopre in realtà soltanto la propria miseria morale, l'ininterrotto filo delle proprie fedeltà storiche, il satanico orgoglio dell'unico, e in ultima istanza quella volontà di 'isolarsi' che è la malsana nostalgia del nulla".

VITALE, UTILE, VALORE

654-5 La vitalità biologica, in sé cieca e indivisa, si contrappone a quella umana, la presenza, che è vita che si presenta a se stessa ed energia sintetica che si esplica secondo distinte potenze operative. Unità dialettica, potenza di tutte le forme, che parte dalla forma economica ma la supera. La presenza, potenza sintetica, condiziona tutte le forme (a loro volta condizionate dalla integrità della presenza): il dominio tecnico della natura non è un fatto naturale ma ha luogo attraverso la forma economica della vita culturale.

655 La ricerca del piacere appartiene ancora la piano dell'animalità biologica. La sua soddisfazione è individuale e non derivano da essa né tecniche né conoscenze nè valori intersoggettivi. L'utile economico è più ampio e da esso nasce la cultura come sintesi autonoma.

656 In seno alla domesticità l'esserci, come centro di operabilità utilitaria, si genera e si rigenerera trovandosi e ponendosi di continuo. E' una dialettica dell'esser sicuro e dell'assicurarsi continuamente: l'essere per il valore si costruisce proprio in quella dimensione del vitale che parrebbe il regno della solitaria individualità chiusa nel piacere e nel dolore egoistici immediati. Sulla base del dominio intersoggettivi della "sicurezza", sempre rimesso in causa ed accresciuto (= storia) si costruiscono gli orizzonti di valorizzazione. "L'economia non può essere l'unico valore perché‚ l'ethos del trasc. non può• esaurirsi in un valore particolare: anzi assolve alla sua funzione valorizzatrice solo quando non soffoca tutte le altre valorizzazioni, non si sostituisce ad esse, non pretende di esaurire l'essere (il doverci essere)". L'economia consente l'emergere dell'esserci dalla natura ma non esaurisce l'esserci.

659-62 Il distacco dalla natura per aprirsi all'umano mondo dei valori è la cultura. Il presupposto di questo distacco è la presenza, che l'uomo sia già l'uomo, la capacità di agire secondo valori. Tale presupposto non è derivabile dal distacco ma ne è, appunto, il presupposto. La storiografia non può•, neutralmente, dal punto di vista eterno, descrivere "l'evoluzione" dalla natura alla cultura poiché‚ la storiografia già cultura. Essa può descrivere come l'uomo si solleva dalla naturalità. Il mondo umano (= storia) è la capacità di operare secondo valori superando le situazioni e le potenziali negatività. Il distacco dalla natura avviene intercalando l'ordine degli strumenti materiali e dei regimi di produzione dei beni economici; l'ordine degli strumenti mentali per dominare la natura a fini individuali e collettivi; l'ordine delle regole sociali per disciplinare la divisione del lavoro e i rapporti tra singoli e gruppi; l'ordine delle regole morali per oltrepassare la "libido" e aprirsi a sentimenti di amore e riconoscenza; l'ordine della catarsi estetica e dell'autocoscienza dell'umano operare e prodursi, dell'innalzarsi sulla natura. La cultura è questa energia morale del distacco dalla natura per fondare un mondo umano. Tutti i valori umani sono inclusi nella storia ed hanno un orizzonte umano. Le loro pretese sono eseguibili ed avvengono nella storia sotto forma di opere e documenti. Non solo le tecniche ma anche i sistemi simbolici sono "opere". La pretesa religiosa di sfuggire deliberatamente alla storia nella metastoria non lascia opere ma solo conati. Le stesse opere (e documenti) religiose (chiese, testi sacri, simboli religiosi ...) non testimoniano la realizzazione del raggiungimento della metastoria ma solo lo sforzo. (662:) L'orizzonte mitico-rituale partecipa della storia come orizzonte tecnico di segnalazione e reintegrazione, non come una impossibile evasione dalla storia.

662-3 Il divenire viene articolato in una serie di momenti critici definiti nei quali sporge la storicità, ovvero si manifesta il passaggio da una situazione all'altra e, insieme, il limite di una regola umana del passare. La onniallusività caotica del divenire viene risolta in un sistema socializzato e tradizionalizzato di simboli. Al "tutto può alludere a tutto" si sostituisce "questo è simbolo di quello", da cui deriva una serie di ambiti simbolici, di realtà separate, di comportamenti negativi e positivi. Il manifestarsi della storicità (al limite in ogni attimo: ogni momento è nuovo) rischia di perdere la presenza: è nuova ogni situazione che pone in essere per la coscienza la distanza fra l'accadere naturale (caotico) e il far accadere in senso culturale, che tende a decidere le situazioni secondo valori umani in base a tradizioni. Quando la novità avviene nel vuoto culturale è la presenza che si perde. (Il simbolismo mit-rit serve a controllare questo rischio. Insufficiente approfondimento del concetto di simbolo, ristretto al solo simbolismo mit-rit: i simboli non controllano la crisi ma stabiliscono l'orizzonte culturale. Oscillazione di d.M.)

ONTOLOGIA

657 Il non essere, rispetto alla presenza, non è il nulla assoluto ma il vitale biologico (preculturale), l'incoscio ... Esso appare come nulla nell'angoscia della crisi che lo denuncia come il rischio estremo: il non esserci nella storia, la follia. La natura vitale biologica è nulla rispetto alla cultura e solo per "gioco dell'immaginazione" possiamo attribuirle la capacità di farsi presente ed agire secondo forme culturali distinte (fini, scopi ...). (658:) Se l'essere fosse totale, se ci fosse solo l'essere, non ci sarebbe l'azione che lo attraversa e lo fa divenire ma solo la ripetizione meccanica. Il non essere nasce dall'urto dei valori, dalla polemica dei distinti: questa distinzione pone l'essere e, reciprocamente, il non essere in senso naturalistico. La radice delle distinzioni (e dei distinti) è la presenza.

666-8 L'esserci del mondo è, in senso dinamico, il trascendere le situazioni nel valore. Nelle varie situazioni emerge la presentificazione valorizzante della presenza che sceglie e decide. Questo emergere della presenza, dell'esserci, in quanto valorizzazione è partecipazione all'essere e la presenza esiste nella misura in cui partecipa all'essere. L'essere della presenza è l'essere per il valore (per l'intersoggettivo, per l'universale) grazie al quale il mondo diventa possibile per l'uomo. Nell'esserci per il valore l'essere si apre e si attualizza, riprende il passato e si ridischiude al futuro. La presenza è l'emergere di energia morale di valorizzazione intersoggettiva. L'opposto (che è un rischio più che una condizione) è il nulla come incapacità di emergere, oltrepassare, valorizzare. All'estremo è (il rischio del) l'assenza: la presenza che scompare. La morte è la fine di un particolare, concreto, sforzo di presentificazione. Questa fine pone due problemi: ai sopravvissuti per superare la situazione luttuosa; rispetto alla prospettiva della nostra morte, come distacco da essa mediante l'esercizio della nostra presentificazione valorizzante. I valori non sono oltre, altra cosa, rispetto alla nostra esistenza: l'esistenza umana è appunto nel movimento verso questi valori. Si esiste (come uomini) per questo aprirsi ai valori intersoggettivi che è la storia. Il chiudersi, invece, spalanca il baratro del nulla.

ETHOS DEL TRASCENDIMENTO

L'ethos del trascendimento della vita nella valorizzazione intersoggettiva come fondamento dell'esserci nel mondo. 668-9 Il fondamento dell'esistenza non è l'essere ma il dover essere. Lo slancio valorizzatore intersoggettivo della vita, la rinnovantesi progettazione comunitaria dell'operabile, l'emergere da situazioni mediante l'impegno di deciderle: questo fonda la finitezza del singolo e l'inesauribilità del suo compito operativo e, insieme, garantisce l'apertura del singolo all'essere, la sua possibilità di assicurarsi mediante l'intersoggettività dell'opera secondo valore, il riscatto dal puro "stare".

669 Il doverci essere nel mondo come principio fondamentale comporta il rischio di non esserci in nessun mondo possibile. La cultura è la lotta contro questo rischio per mantenere aperta la possibilità di un mondo "umano". "La 'fine del mondo' è una possibilità antropologica permanente".

670 In Heidegger l'esserci racchiude necessariamente nella sua struttura trascendentale l'essere nel mondo: l'analisi dell'essere nel mondo declina le varie modalità di essere nel mondo. Al contrario la struttura trascendentale dell'esserci è il dover essere, in atto di farsi valere contro il rischio di non poterci essere. La catastrofe non è un modo di essere ma un rischio. L'uomo è sempre entro l'esigenza del trascendere e solo all'interno del continuo oltrepassare valorizzante si costituisce l'esistenza umana. Questa energia del trascendimento non è oltrepassabile: on si può giungere alla natura in sé anteriore alla valorizzazione umana o allo spirito assoluto secondo un trascendimento ultimo e definitivo.

671 L'antropologia è la presa di coscienza sistematica di questo essere che si manifesta e determina nelle varie modalità storiche. Essa distingue ciò che appartiene alle varie realizzazioni storiche da ciò che "appartiene alla struttura universale dell'esistenza" (?). Questo ethos trascendentale del trascendimento inizia con un progetto comunitario dell'utilizzabile che segna il distacco dall'immediatezza del vivere: il modo con cui l'ethos da testimonianza di sé in questo progetto (= economia) costituisce condizionamento per gli altri modi del trascendere.

672 "Dall'esserci comunitariamente condizionato e comunitariamente aperto della decisione attuale nasce il mondo".

672-3 L'ethos non si esaurisce mai in una singola realizzazione: è l'umanità, molteplicità di singoli che si cercano (polarità uomo-donna) e si generano nel tempo; è limite esteriore e materiale, resistenza e stimolo alla inesauribilità del trascendere; è progetto comunitario dell'utilizzabile (corpi, oggetti ...); è comunicazione dei bisogni e dei valori (linguaggio) ma anche trascendimento di questo progetto verso altre forme (poesia, scienza, morale). I simboli, religiosi e civili, sono strumenti per controllare la crisi.

681 "In questa prospettiva il principio non è né 'la materia' né lo 'spirito', poiché‚ l'uno e l'altro si costituiscono dentréo la tensione del trascendimento; non è l'intersoggettivo né il singolo, perché‚ il trascendimento comporta sia l'intersoggettività che opera con tutto il peso condizionante di una tradizione sociale, sia il singolo che liberamente si apre all'intersoggettivo rinnovando la tradizione; e soprattutto non è il privilegio indebito e la feticistica assolutizzazione di una particolare valorizzazione categoriale (per esempio il naturalismo scientifico, il tecnicismo, l'estetismo, il legalismo, il moralismo, l'economicismo, il mitologismo, il ritualismo)". L'etos del trascendimento è segno di apertura al futuro e perciò è caratterizzato dalla temporalità.

673-4 (critica a M. M.-P.) La temporalità, l'avvenire che va verso il passato venendo dal presente, ha senso solo se la intendiamo come orizzonte di valorizzazione. Senza abbiamo il disarticolarsi del tempo come nella melancolia. L'ethos del trascendimento, che è trascendente il tempo, è presentificazione di un avvenire tra tutti i possibili avvenire, ovvero ripresa di un passato per ridischiuderlo verso un futuro. Azione di far passare ciò che, passando da sé, correrebbe al nulla.

674 "Poiché‚ vi sia un mondo, e una situazione del singolo in esso, occorre emergere da esso, farsi margine od orizzonte di qualificazione e di comportamento rispetto ad esso, non coincidere immediatamente con la situazione ma distaccarsene sempre di nuovo e sempre di nuovo misurare secondo certi parametri (i valori) la distanza di volta in volta instaurata. Questo oltre, questa emergenza, questo margine, questo orizzonte, questa potenza di distacco e di misurazione costituiscono appunto un ethos primordiale".

675 "L'esserci in società, in un mondo dell'utilizzabile che è sempre socializzato, racchiude in modo inaugurale l'appello alla intersoggettività della vita umana, ad una fedeltà rispetto agli altri anche nella sfera dei bisogni materiali".

675-6 L'ethos può passare: 1) in senso esistenziale originando le psicopatologie; 2) in senso categoriale (confusioni e feticizzazioni categoriali); 3) in senso naturale con la morte dell'individuo (ma se la natura è un prodotto culturale la morte non può essere "naturale". Diviene quel nulla radicale che vince sempre e che è costituito in modo dominante dell'essere: è in senso ontologico che si muore).

676 "Alla domanda se c'è prima l'essere e poi l'esperienza esistenziale o prima l'esperienza esistenziale e poi l'essere, la risposta è che 'prima' - nel senso trascendentale del termine - c'è l'ethos del trascendimento della vita nel valore intersoggettivo" (...) "Ma d'altra parte, in quanto trascendimento della vita, e quindi dell'abbisognare, questo ethos racchiude sempre un momento di finitezza, ed in quanto dovere del trascendere è esposto al rischio della caduta, della stanchezza, dell'inerzia".

678 Temi costitutivi di una filosofia della presentificazione valorizzante: 1) l'affermazione dell'eth. trascendent. del trascendim. della vita nella valorizzazione intersogg. 2) il carattere inaugurale del progetto comunitario dell'utilizzabile, per entro il quale prendono rilievo: a) la molteplicità dei singoli, b) la loro razionalità sociale, c) l'ordine dei corpi materiali esterni, d) l'ordine degli strumenti tecnici di controllo materiale e mentale, e) la corporeità dei singoli, f) i regimi di produzione e distribuzione economici; 3) gli altri progetti comunitari oltre l'utilizzazione (arte, filosofia, consapevolezza, morale ...); 4) la crisi dell'ethos del trascend. su tutto il fronte del valorizzabile; 5) l'ordine simbolico atto a riprendere la crisi e a mutarla di segno ridischiudendo la valorizzazione.

FINE DEL MONDO

Crisi psicopatologica

536 Diversi vissuti critici sono intesi come variazioni di uno stesso vissuto fondamentale: il rischio di non esserci in nessun mondo culturale possibile. Vissuti: 1) di mutamento; 2) di estraneità... radicale; 3) di spossessamento, essere agito da; 4) troppo e troppo poco di semanticità, di debolezza e forza semantica; 5) di fissità o artificio o caotica onniallusività, sospetto, caos, intenzionalità rovesciata, mostruosità figurativa, catastrofe cosmica.

Crisi culturale

629-30 La domanda se il mondo può finire, nella misura in cui diventa parassitaria e scatena il terrore della fine, scatena essa stessa la fine: la coscienza vaga di congettura in congettura in un finire che non ha più alcun inizio. Questo vagare corre al termine e sottrae l'uomo all'unico suo compito: essere Atlante che con lo sforzo sostiene il mondo e sa di sostennero. (629:) "Certo il mondo può finire, ma che finisca è affar suo perché‚ all'uomo spetta soltanto rimetterlo sempre di nuovo in causa e iniziarlo sempre di nuovo". Questa è l'unica parte che spetta all'uomo: combattere continuamente contro le tentazioni di un finire senza nuovi inizi, o di inizi che non includono la libera assunzione del finire. La coscienza della fine del mondo può essere feconda a condizione di includere un progetto di vita che realizzi una continua lotta contro la morte. La fine cristiana mediò, con fede e speranza l'amore. Le fini dei popoli coloniali mediano liberazione e identità. La fine nucleare media la presa di coscienza dell'alienazione tecnicista.

630 " 'Eppure, se un giorno, per una catastrofe cosmica, nessun uomo potrà più cominciare perché‚ il mondo è finito?' Ebbene che l'ultimo gesto dell'uomo nella fine del mondo sia un tentativo di ricominciare da capo: questa morte è ben degna di lui, e vale la vita e le opere delle innumerevoli generazioni umane che si sono avvicendate sul nostro pianeta". La fine di 'un' mondo è una condizione normale nella storia culturale umana. Continuamente tutte le situazioni finiscono. Ogni crisi, però, per quanto intollerabile consente sia pur piccoli margini di ripresa. "E' la fine del mondo, in quanto esperienza attuale del finire di qualsiasi modo possibile, che costituisce il rischio radicale". Sembrerebbe avvalorarsi la tesi per la quale ogni attimo è un finire. (631:) Per gli animali non c'è fine: la fine è la fine della specie. L'uomo passa da un mondo all'altro grazie all'energia morale che sopravvive alla catastrofe dei mondi per generarne altri. Il rischio della caduta di energia è immanente: la fine 'del' mondo, non di 'un' mondo: è la fine dell'esserci, della presentificazione. Questo rischio è normalmente coperto e tale copertura è la cultura. Nella riflessione scopriamola necessità di tale momento negativo, che da rilievo allo sforzo morale e che è messo a nudo dalla follia.

658 Crisi. Non poter andare oltre un certo contenuto storicamente determinato: questo si reitera e torna ponendosi in conflitto con la storia personale complessiva:

- non poter andare oltre un certo contenuto (restare polarizzati in esso ed esserne invasati);

- defluire interamente e perdersi in un certo contenuto;

- perdere la continuità della presenza nel variare e succedersi dei contenuti;

- perdere la distinzione di un contenuto o di un oggetto nella unità complessiva del mondo.

"Un frammento di coscienza inattuale che continua ad operare, cioè‚ tende ad attualizzarsi".

527-37 Sartre; 537-44 Camus; 544-51 Moravia; 551-54 Beckett; 558-60 Proust; 578-92 Merleaux-Ponty (in gran parte citazioni e riassunti)

Oscilla tra posizioni per le quali ogni attimo è un finire, e dunque ogni attimo cela una crisi potenziale, ed altre nelle quali la crisi assume connotati più limitati come rischio controllato di alcuni momenti particolari di ogni cultura, ad esempio quelli legati alle crisi potenziali delle produttività economiche. Tra una posizione personalistica esistenzialista ed una materialistica del marxismo.