Capitolo 4

DIVINITA', ESSERI SOVRUMANI ED ESSERI MITICI

Esseri sovraumani attuali

L'azione degli esseri extraumani può essere esaurita nel tempo mitico ma è anche possibile che essi siano attivi nell'attualità, cioè che ad essi si ricorra con invocazioni e preghiere. Occorre pertanto distinguere gli esseri puramente mitici, la cui attività si è conclusa una volta per tutte, da quelli che sono attivi anche nel presente. Questi ultimi proprio perché attivi anche nell'attualità, riceveranno un culto (rito) destinato in qualche modo a farle agire a vantaggio degli uomini. Gli esseri puramente mitici invece sono tali proprio perché non ricevono alcun culto: essi sono inattuali. Gli esseri che agiscono nel presente sono quelli ritenuti capaci, in qualche modo, di influenzare oggi, la vita degli esseri umani.

Che gli uomini, come genere, siano mortali e che esistano in generale, le malattie dipende da fatti avvenuti nel tempo mitico e sui quali non si può più intervenire. Che però una determinata persona sia malata è un fatto sul quale è ancora possibile agire. Uno degli strumenti è quello di ritenere che ciò sia dovuto all'azione di un essere extraumano attuale che è poi possibile cercare di influenzare in senso benefico mediante un culto. E' dunque il rito, rivolto all'essere sovrumano al fine di indirizzarne l'azione a vantaggio degli uomini, che connota quell'essere conferendogli una identità particolare distinta da quella di altri esseri attivi nel presente. E' la diversità dei culti a fare la diversità degli esseri sovraumani.

In alcune culture troveremo esseri che contemporaneamente hanno svolto azioni nel tempo mitico e sono attivi nell'attualità: distingueremo in questi casi tra una funzione mitica nel passato e una funzione rituale nel presente. Un esempio è quello delle divinità politeistiche greche le quali, soggetti delle azioni narrate dalla mitologia, sono anche le divinità alle quali si rivolgono culti nel presente. In questo caso le azioni mitiche, che come tali avrebbero potuto essere compiute anche da esseri indeterminati, hanno la funzione di caratterizzare personalmente i vari dei. Esse hanno cioè una funzione identificativa che si aggiunge a quella svolta dai vari culti rivolti a questi dei.

Se gli esseri mitici instaurano la realtà, gli esseri sovrumani attuali garantiscono la normalità di fronte ai continui imprevisti dell'esistenza. Gli esseri attuali rappresentano quegli aspetti della realtà che non sono controllabili dall'uomo con le sue forze ma che sono comunque importanti per la comunità. Essi non rappresentano fenomeni naturali antropomorfizzati ma rischi esistenziali concreti, o bisogni impliciti dell'esistenza, o comunque aspetti vitali di particolare rilevanza (la nascita, la morte, le malattie...) con i quali occorre fare i conti. Gli esseri che rappresentano questi rischi e bisogni vengono identificati con un nome al fine di poter stabilire con loro un rapporto diretto mediante il rito. Ciò che non ha nome non ha infatti esistenza, è nulla. In altre parole per poter dare un significato a quegli aspetti critici dell'esistenza occorre renderli comprensibili e culturalmente controllabili: il nome esprime la possibilità di significarli, di instaurare un rapporto, di controllarli sul piano simbolico.

La credenza - utilizziamo provvisoriamente questo termine - di cui sono oggetto questi esseri è alimentata dal bisogno che l'uomo ha di controllare (o di fare in modo che sia controllata) la realtà non umana. Dove non bastano i mezzi tecnici e pratici a disposizione dell'uomo e del gruppo, interviene, grazie al rito loro rivolto, l'azione di questi esseri superiori, che, almeno sul piano simbolico, consentono una soluzione. Questi esseri esistono nella misura in cui svolgono la funzione di assicurare all'uomo il controllo e il padroneggiamento, in qualche modo, di ciò che altrimenti gli sfuggirebbe o che lo terrebbe in balìa. Il fatto che il controllo avvenga sul piano simbolico non deve trarre in inganno e far pensare che si tratti di qualcosa di meno importante rispetto al piano tecnico, quasi un sovrappiù o una mera illusione. Vedremo come in effetti la distinzione tra i piani sia convenzionale e come la realtà sia costituita, per l'uomo, completamente da simboli.

Divinità ed Esseri Supremi

Gli esseri attivi nel presente possono essere divisi orientativamente in tre tipologie: esseri supremi, divinità politeistiche, divinità monoteistiche. Queste ultime nascono per reazione al politeismo riprendendo sovente caratteri degli esseri supremi primitivi. Il problema è distinguere gli esseri supremi dalle divinità del politeismo. Ovviamente la questione non riguarda la realtà ontologica o il grado di trascendenza di questi esseri: il problema è storico e concerne la funzione, il significato e le connotazioni che ogni singola cultura attribuisce ai propri esseri sovrumani o divinità. Provvisoriamente, a titolo orientativo, stabiliremo che le divinità del politeismo sono proprie delle culture cosiddette superiori mentre gli esseri supremi sono quelli delle culture cosiddette primitive ed hanno una carattere immanente alla creazione.

In una cultura primitiva l'Essere supremo è il datore di tutto ciò che è umanamente incontrollabile ed esistenzialmente importante. Naturalmente ogni cultura stabilirà a suo modo, diverso dalle altre, ciò che è importante e incontrollabile. Si tratterà ad esempio di cose come la vita e la morte, le malattie e le guarigioni, le nascite, la pioggia e la siccità. In questo modo mentre il fatto che il genere umano sia mortale dipenderà in modo ormai definitivo dalle azioni compiute dal Creatore ozioso, la morte per malattia di un singolo individuo può essere causata dall'Essere supremo. Naturalmente anche un Essere supremo può essere oggetto di narrazioni mitiche ed avere quindi funzioni di Creatore ozioso. Il problema in questo caso non è di identificare con esattezza la categoria tipologica nella quale comprendere questa figura extraumana e decidere se si tratta di un Creatore ozioso o di un Essere supremo. Né la questione è definire con precisione l'essenza e i limiti del Creatore ozioso e quella dell'Essere supremo. Le tipologie hanno solo valore orientativo: il vero problema è perché una cultura ha concepito un dato essere in quel modo. La soluzione si trova contrapponendo una funzione mitica ad una funzione rituale: il mito concerne ciò che si vuole e si riconosce incontrollabile; il rito ciò che si vuole o si ritiene controllabile. In questo modo un Creatore ozioso è inattivo e fonda realtà immutabili, un Essere supremo agisce nel presente ed è quello al quale si rivolgono culti. Se uno stesso essere è attivo nel mito come Creatore ozioso e nel presente come Essere supremo, semplicemente distingueremo tra una sua funzione mitica e una sua funzione attuale.

Occorre naturalmente discriminare con attenzione l'attualità o inattualità di un essere: chiamare in causa un Creatore ozioso o semplicemente nominarlo non equivale a rendergli un culto e quindi a trasformarlo in un essere attuale. Se il Creatore ozioso è all'origine di quel fatto ineluttabile che è la mortalità degli uomini attribuire a lui la morte di un caro significa semplicemente esprimere la propria rassegnazione dinanzi al fatto che siamo tutti mortali; analogamente bestemmiare il Creatore ozioso equivale a protestare contro un ordine mondano sentito come ingiusto.

Casi storici a parte sono costituiti da quei popoli che, a seguito di un collasso culturale o per rispondere a crisi sociali violente, elaborano un rifiuto dell'attualità storica per rivalutare l'inattualità mitica. Di fronte ad una realtà che, ad esempio per l'azione devastante dei colonizzatori, ha perso i caratteri della stabilità e della normalità, la rivalutazione del piano mitico prospetta una qualche forma di salvezza e consente nel frattempo di restituire significato all'esistenza. E' il caso di alcuni movimenti millenaristici.

Non necessariamente un Essere supremo è unico presso un popolo, è possibile però che uno di questi esseri abbia un ruolo preponderante oppure che un ruolo preponderante sia svolto da una particolare categoria di esseri (es.: gli Antenati). Al di là delle forme che gli Esseri supremi assumono, secondo le varie civiltà, sono tutti caratterizzati da un' unica condizione: ricevere culti. Normalmente ci aspettiamo di trovarli in popolazioni che non hanno uno sviluppo sociale ed economico particolarmente complesso e stratificato.

Le divinità politeistiche sorgono nelle culture stratificate e complesse, le cosiddette civiltà superiori. Alla complessità sociale corrisponde la complessità nel modo di rappresentare l'universo umano e naturale. Il cosmo è diviso in settori di azione ciascuno dei quali è sotto il controllo di una particolare divinità. Le articolazioni e i rapporti tra i vari segmenti della realtà, significati ciascuno da una delle varie divinità politeistiche, saranno espressi in termini di rapporti tra le varie divinità. Poiché ciascuno degli elementi del reale, rappresentato da un dio, non è isolabile assolutamente dagli altri, rappresentati da altri dei, i rapporti tra questi elementi sono espressi mediante un sistema di rapporti divini nel quale ciascun dio ha una funzione correlativa a quella di tutti gli altri.

E' dunque possibile ricostruire la logica soggiacente ad un sistema politeistico, logica che costituisce il senso stesso di quel sistema politeistico. Questo sistema, estremamente articolato, sarà anche dinamico: un popolo che ha elaborato un politeismo, infatti, man mano che nuove esigenze si impongono nel suo sviluppo storico, sarà costretto a mutare la sua visione della realtà, a rivedere il suo modo di intendere il cosmo. In questo senso nuove divinità (e nuovi culti) possono essere introdotte per rispondere alle nuove esigenze mentre vecchie divinità possono sparire, trasformarsi profondamente, scadere a livello di spauracchio di bambini (cioè: cessare di avere culto), scadere socialmente ricevendo culti solo da certi strati particolari della popolazione.

Nel caso di divinità politeistiche, poiché si tratta di esseri che hanno il compito e la potenza di controllare tutto l'ordine del mondo, non sarebbe in teoria necessaria l'esistenza di una mitologia. La stabilità dell'ordine sarebbe garantita proprio dagli dei. Di fatto però tutti i politeismi hanno mitologie, non fosse altro che per la funzione, già citata a proposito del politeismo greco, che queste hanno con le loro storie di caratterizzare le differenze tra i vari dei.

Con qualche cautela per quanto riguarda il Mazdeismo, probabilmente la prima cultura monoteista nell'antico oriente iranico, in relazione al quale la documentazione è limitata, tutti i monoteismi hanno avuto origine come reazione a politeismi precedenti. Ciò si traduce normalmente nel fatto che tutti i monoteismi si presentano come "fondati", rivelati cioè ad un fondatore umano, storico o mitico che sia. Il Mazdeismo (Zarathustra), l'Ebraismo (in una certa misura con Mosè), l'Islam (Maometto), il Cristianesimo, ma anche il Buddismo e lo Giainismo indiano (nella misura in cui è applicabile loro la categoria di monoteismo), sono tutti venuti alla luce a seguito della predicazione o del messaggio di un fondatore: questo indica la presa di coscienza della diversità del loro messaggio rispetto ai precedenti politeismi. I monoteismi si sono sempre originati in civiltà superiori, salvo poi diffondersi per azione missionaria o per migrazioni anche presso culture primitive. Essi sono normalmente caratterizzati (prescindendo forse dal Mazdeismo) anche da un messaggio salvifico in senso soteriologico diverso da quello del politeismo, per il quale la funzione principale è il controllo e la definizione della realtà tramite i vari dei. Questa caratteristica soteriologica deve però essere intesa con una certa elasticità, sia perché anche il monoteismo può benissimo avere funzioni prevalenti di definizione e controllo della realtà, sia perché dottrine salvifiche possono essere elaborate anche in ambiente politeistico (es.: i misteri eleusini o orfici in Grecia) e perfino presso culture primitive.

Questa tipologia ha, va ribadito, solo una funzione orientativa. Essa non pretende di definire i vari modi con cui si manifesta la nozione di divinità. E' semplicemente una astrazione di note comune da casi concreti. Ciascuna cultura avrà modi propri ed originali per definire il reale e i suoi esseri sovrumani e ci potremmo trovare, davanti a culture particolari, a dover rinunciare a questa tipologia. In tal caso, che è quello delle più antiche fasi della cultura indiana, anziché elaborare una nuova tipologia di esseri divini bisognerà comprendere perché l'India vedica e il primo Buddismo hanno voluto definire i loro dei con caratteri per certi aspetti poco "divini".

L'invenzione degli dei

Nelle prime ricerche storico-religiose, il cui obiettivo era scoprire le divinità dei vari popoli, non si era posta attenzione alla distinzione tra figure mitiche e attuali, con il risultato di avere dei che, secondo i criteri occidentali, si comportavano in modo decisamente poco divino. Quelle che erano chiaramente divinità benevole e potenti, si comportavano però nelle storie mitiche in modo malevolo e perverso. In questo caso si confondevano i caratteri mitici con quelli derivati dal culto confondendo pertanto ciò che un essere era al tempo del mito (caotico e precosmico) con ciò che invece è nell'attualità (garante dell'ordine). Un essere sovrumano (Essere supremo o divinità che sia) è tale perché riceve un culto e non perché ha miti: una divinità che ha culti è "diversa" dalla stessa divinità narrata nel mito.

Questa confusione che mescolava personaggi mitici e figure oggetto di culto nasce dalla tendenza occidentale a personificare, tendenza che viene poi proiettata arbitrariamente nelle altre culture. Sulla base di questa tendenza i primi informatori (etnologi, missionari, esploratori) si domandavano "chi" erano gli dei dei vari popoli e cercavano poi di darsi una risposta ricercando gli elementi per ricostruire queste personalità nelle tradizioni mitiche. Ora una cultura può avere personaggi mitici veri e propri, con caratteri particolari e diversificati, con nomi propri individualizzanti: è il caso della cultura greca classica. Può però anche non averli: è il caso di alcune popolazioni africane ma anche della Roma arcaica nelle quali le divinità non erano realmente "persone". In sostanza va accettato che la realtà di molti esseri mitici non è quella di un personaggio in senso nostro. Sono stati gli occidentali che, raccogliendo i dati locali sub specie religionis hanno proiettato la categoria di personalità sui racconti indigeni costruendo delle entità mitiche individuali che non esistevano nella realtà.

La logica personalizzante ha portato sovente a fraintendere le risposte dei nativi le quali invece tendevano semmai a descrivere il modo con cui vedevano il loro cosmo.

La comunicazione nativi-europei si è svolta sovente a livelli bassissimi di comprensione e questo mette in discussione gran parte del materiale raccolto dagli etnologi. Una delle domande immancabili dei ricercatori era quale fosse il dio principale dei nativi. Una domanda che presupponeva arbitrariamente che i nativi avessero un dio personale con caratteri ben determinati. Di fronte a questa domanda per la quale non avevano risposte i nativi rispondevano a modo loro rivelando non i loro dei ma il loro modo di vedere il mondo. In questo modo termini che dal punto di vista dei nativi erano descrittivi venivano invece interpretati come nomi personali dagli etnologi.

Così, per fare un esempio, gli Zulu definivano principali livelli del loro cosmo, cielo, terra e foresta, con tre rispettivi signori, il fulmine atmosferico "signore del cielo", il leopardo "signore della foresta" e un dato serpente "signore del sottosuolo". Nella loro mitologia avevano inoltre la nozione di un Creatore ozioso per il quale non avevano alcuna definizione e che era chiamato genericamente "il vecchio". Intendendo il fulmine come il nome personale ed identificandolo con "il vecchio", gli etnologi hanno inventato per gli Zulu un dio personale: il Signore del cielo. Questo prescindendo dal fatto che mentre un culto era rivolto agli Antenati nessun culto era rivolto ai fulmini, ai leopardi, ai serpenti e tantomeno a "il vecchio". Alla logica cosmicizzante degli indigeni, che tentava di descrivere l'ordine dell'universo come appariva nella loro cultura, si contrapponeva la logica personificante degli europei in cerca di dei. Agli indigeni non interessava "chi è" il vecchio, e infatti non ne avevano nozione, ma solo che cosa avesse fatto, gli effetti delle sue azioni.

Analogamente si è proceduto estrapolando da vari miti nord americani, che narravano le azioni di un coyote, la figura di Coyote: ne è risultato un personaggio unitario bene identificato, un essere mitico che porta per caso il nome di un animale ma che non è un animale. Applicando la falsa domanda (falsa perché europea e non indiana) "chi è Coyote?" si crea un personaggio inesistente. In realtà gli indiani, che non scrivendo non hanno il problema di distinguere tra maiuscole e minuscole, narravano miti in cui coyote, un animale caotico perché a metà strada tra i carnivori (mangia carne di carogne) e gli erbivori (non caccia) svolgeva azioni buffe e irrazionali. L'animale concreto, dunque, che per le sue caratteristiche è capace di significare situazioni limite o abnormi, e non un personaggio.

Il problema, va ribadito, non è mai "chi sono" gli attori mitici ma quali sono le loro azioni. La domanda rimane invece legittima (almeno come punto di partenza) per gli esseri attuali, quelli che ricevono culto. Anche in questo caso però dovremo essere pronti a trovare risposte lontane dalla nostra logica: esseri collettivi indeterminati (che significa volutamente lasciati indeterminati) o esseri la cui personalità sembra confondersi con un oggetto o un'azione.